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Secondo il sociologo Talcott Parsons (1951), la malattia è uno stato di turbamento del normale funzionamento dell’individuo e riguarda sia lo stato del suo organismo come
sistema biologico, sia i suoi adattamenti personali e sociali. Nella sua analisi, Parsons considera sia la dimensione esperienziale (illness), ossia come il soggetto esperisce il
proprio corpo in relazione alle modifiche che la malattia produce sul suo organismo e sul proprio agire, sia la dimensione socio-relazionale (sickness), ossia il
condizionamento esercitato dalla malattia che preclude all’individuo la possibilità di svolgere le attività che derivano dai ruoli sociali che questi ricopre. Infatti, perché un
sistema sociale si mantenga e si sviluppi, è necessario che gli individui adempiano alle attività connesse ai ruoli che questi assumono al suo interno. Ogni forma di devianza
da parte dei soggetti turba l’ordine sociale e il buon funzionamento del sistema stesso: giacché la malattia rende le persone inabili all’efficace svolgimento dei loro ruoli, essa
rappresenta una forma di devianza anche se involontaria (Parsons, 1951). Riconosciuta come non intenzionale e gestita dal sistema sanitario, la malattia è una forma di
devianza talmente particolare che la società prevede un ruolo specifico per chi ne sia affetto: il sick role (Parsons, 1951). Il ruolo dell’ammalato è legittimato se e quando chi
lo assume si adegua alle aspettative del sistema: il malato, con volontà di risolvere la propria condizione di salute precaria e indesiderabile, deve chiedere aiuto ai
professionisti sanitari accettando la subordinazione a queste figure. Questi professionisti, a loro volta, devono svolgere la funzione prevista dal proprio ruolo
impiegando le proprie competenze mediche per due finalità: in primo luogo per certificare lo stato di malattia del soggetto, assegnandogli il sick role che lo esonera dal
compiere le azioni abitualmente previste dai suoi ruoli sociali. In secondo luogo devono guarire il paziente in modo da permettergli di tornare a svolgere le attività
temporaneamente sospese.
Nella sua trattazione sulla malattia, che appare oltremodo appropriata anche nel contesto contemporaneo, Parsons non tiene però in considerazione coloro che
presentano limitazioni funzionali permanenti o patologie croniche che, in una logica funzionalista, potrebbero rappresentare una duplice falla nel sistema sociale: in primo
luogo queste persone non possono assumere (o assumere appieno) determinati ruoli a causa della loro condizione non modificabile (con un conseguente etichettamento
negativo); in secondo luogo rappresentano il parziale fallimento delle funzioni delle competenze mediche che non sono in grado di offrire le cure necessarie. A ciò si
aggiunga che, a volte, la patologia non è riconosciuta o riconoscibile dalle istituzioni e dallo stesso sistema sanitario.
Ecco dunque che compaiono diverse forme di invisibilità con ricadute spesso drammatiche per i soggetti portatori di patologie croniche e/o non riconosciute.